Il sanguinamento, dopo l'uso dello spazzolino e a volte anche spontaneo, è indice di infiammazione gengivale. In una piccola percentuale di casi può essere dovuto a malattie generali che non riguardano i denti, ma nella maggioranza dei casi la patologia nasce all'interno della bocca.
È compito del dentista cogliere queste differenze e procedere a rimuovere le cause di questa infiammazione.
Il fattore irritante è il tartaro che si può collocare in posizione sopragengivale o sottogengivale; in tutti i casi agisce ritenendo placca batterica e determinando l'infiammazione gengivale.
La soluzione al problema va studiata caso per caso, a seconda della gravità della patologia e va da una semplice rimozione del tartaro, a interventi più impegnativi, fino a un vero e proprio piano terapeutico chirurgico volto a ripristinare la salute parodontale.
Il sanguinamento è un sintomo, segnale di un problema più profondo, l'infiammazione gengivale, ma non solo, anche l'infiammazione dei tessuti di sostegno, il legamento parodontale e l'osso alveolare.
L'infiammazione in queste sedi porta alla perdita di infinitesime quantità di osso. Con il passare del tempo, la continua perdita dei tessuti di sostegno conduce al vacillamento dentale e in seguito alla sua perdita.
Attendere che inizi la mobilità dei denti per intervenire può essere a volte troppo tardi; quando il vacillamento è marcato l'unica possibilità è l'estrazione. Per questo è importante intervenire prima, rivolgendosi al nostro centro ove potrete avere la possibilità di parlare con il parodontologo e comprendere a quale stadio è la patologia per poi intervenire di conseguenza.
A volte gli interventi possono essere molto semplici e consentire un recupero pressoché totale, eliminando completamente questo fastidioso problema.
in grado di eseguire comandi elementari, quali aprire o chiudere la bocca, girare il capo a destra o a sinistra. È possibile che, durante la sedazione cosciente, il paziente sonnecchi a intervalli, situazione dalla quale può essere risvegliato immediatamente con semplici stimoli verbali o tattili.
È evidente come la sedazione non possa essere un sostituto della anestesia locale effettuata dal dentista, ma ne costituisca una integrazione con lo scopo di favorire il benessere del paziente e la buona riuscita dell’intervento.
La presenza dell’anestesista garantisce inoltre il controllo continuo dei parametri vitali del paziente con osservazione del ritmo cardiaco, della pressione arteriosa, della respirazione e ossigenazione del sangue.
Alla sedazione si accompagna amnesia, cioè assenza di memoria degli eventi immediatamente precedenti.
Poiché questi farmaci riducono l’attenzione e la capacità di concentrazione mentale per alcune ore, al termine dell’intervento è opportuno essere riaccompagnati al domicilio da un adulto, non guidare o eseguire lavori di precisione per la restante parte della giornata.
Che cosa succede se sento male? O fastidio?
Visto che l’intervento richiede che la bocca sia aperta, è difficile riuscire a parlare o potrebbe anche succedere che si sia bloccati dalla paura o dal fastidio. In questo caso, prima dell’intervento, ci si mette d’accordo con l’equipe operatoria su un gesto che richiama l’attenzione, come sollevare la mano o il braccio: il dentista e l’anestesista potranno provvedere a ripristinare le condizioni operatorie ottimali.
Rimanere seduti a lungo sulla poltrona del dentista può causare fastidio e pressione sull’osso sacro, sulle natiche natiche, sulle cosce, sulle braccia. L’equipe dello studio si adopererà al fine che la seduta sia il più confortevole possibile, anche se talora problemi posturali non sono completamente eliminabili.
Che cosa succede se sono allergico alle medicine?
Chi è allergico a sostanze medicinali (e non, come cibi, cosmetici, metalli, ecc.) deve avvertire il personale dello studio e l’anestesista del problema e specificare a quali sostanze ha presentato reazione e con quali sintomi. In ogni caso, se sono state eseguite prove allergiche è importante portarle in visione alla visita in studio.
Perché debbo farmi riaccompagnare a casa?
I sedativi, tranquillanti ed eventuali analgesici producono una diminuzione della vigilanza, della capacità di concentrazione e attenzione che può prolungarsi per almeno qualche ora dopo la loro somministrazione. Quindi la capacità di guidare l’automobile, la capacità di comprensione, di lettura sono diminuite. Il pericolo è proprio insito nel fatto che il paziente è sveglio, può vestirsi, camminare, parlare ed è convinto di essere e di comportarsi in modo normale, mentre non è così!
Dunque, è opportuna la presenza successiva all’intervento di una persona adulta che riaccompagni il paziente al domicilio. Avvertite il vostro/a accompagnatore che lo chiamerete quando sarete pronti per rientrate. Se l’accompagnatore risiede lontano, il personale dello studio provvederà a chiamarlo in anticipo.
Se a casa ho male, che cosa posso fare?
Vi verrà prescritto un analgesico e vi verrà specificato quando assumerlo. In genere la prima dose vi sarà già stata somministrata in studio, in modo da assicurarvi una transizione dolce dalla anestesia/analgesia intraoperatorie alla fase postoperatoria.
Inoltre, vi sarà consigliato di stare semiseduti, di assumere liquidi freddi o a temperatura ambiente non appena possibile al rientro al domicilio. I cibi dovranno essere anch’essi facilmente digeribili e morbidi, evitando per qualche giorno cibi che necessitino di intensa masticazione o cibi che impegnino parecchio la digestione. L'applicazione di ghiaccio sulle guance attenua il gonfiore e il dolore e risulta particolarmente efficace nelle prime 3-5 ore dopo l’intervento.
Se sono in terapia domiciliare con altri farmaci cosa devo fare?
I farmaci antipertensivi assunti normalmente al mattino con una piccola colazione non vanno sospesi. Una piccola colazione può essere tranquillamente eseguita da tutti la mattina dell’intervento ma almeno 3 ore prima.
Allo stesso modo i farmaci antidiabetici per os, se assunti normalmente al mattino, non sono da sospendere assumendo una piccola colazione. Al rientro al domicilio vanno ripresi come d’abitudine alla ripresa dell’alimentazione.
Cardioaspirina e ASA non vanno sospesi. Viceversa, da valutare con preavviso di almeno 5-7 giorni, la sospensione della terapia con antiaggreganti (Pavix, Ticlopidina…ecc.) e dicumarolici. In alcuni casi può essere richiesta una visita cardiologica.
Il periodo della dentizione mista è caratterizzato dalla scomparsa della dentizione decidua e dalla progressiva sostituzione con i denti permanenti. Se questo processo avviene correttamente si raggiunge una armoniosa disposizione dei denti, un obiettivo non solo sul piano estetico, ma anche sul piano funzionale.
La sostituzione di un dente deciduo con il corrispondente dente permanente è un processo complesso che comprende il riassorbimento della radice del dente deciduo, la formazione della radice del permanente, l’aumento dell’osso circostante e l’eruzione del dente definitivo.
La formazione e l’eruzione dei denti permanenti rispetta una tempistica precisa anche se suscettibile di variazioni individuali.
Qualunque fattore di disturbo che intervenga in questo processo comporta la mancata eruzione, la dislocazione, la malposizione del singolo dente e, a seguire, della restante dentizione.
Individuare il motivo del disturbo è importante non solo per problemi estetici, ma anche per prevenire patologie più complesse a carico delle arcate dentarie.
La diagnosi della presenza o assenza di un’anomalia richiede a volte la semplice visita dello specialista, a volte può essere necessario un approfondimento diagnostico come una radiografia delle arcate dentarie.
Le cause di una mancata eruzione del dente permanente comprendono infatti un ritardo fisiologico che rientra nelle possibili variazioni individuali e un numeroso numero di altri casi.
Vi è in primo luogo la possibile congenita assenza del dente, l’agenesia. In questi casi a seconda della posizione può essere indicato mantenere il dente deciduo oppure estrarlo per consentire un riposizionamento vicariante degli altri elementi presenti. Le anomalie di numero includono oltre all’agenesia anche la presenza di denti in eccesso, come i sovrannumerari nelle regioni centrale o premolare. In questi casi è sempre indicata l’estrazione del dente sovrannumerario.
L’intervento deve avvenire precocemente, onde evitare che il dente in eccesso vada a interferire con la crescita degli altri elementi e il loro corretto allineamento in arcata.
Un dente deciduo può rimanere in arcata oltre il normale tempo di permuta senza un apparente motivo. La causa è a volte un semplice trauma infantile con conseguente anchilosi del dente deciduo; a questa consegue l’arresto di eruzione del permanente o una eruzione in posizione scorretta. Il ritardo dell’estrazione del deciduo può far perdere al dente definitivo la forza eruttiva, il ricorso a un breve trattamento ortodontico può invece recuperare l’elemento dentario in arcata.
Tra le cause più frequenti di mancata eruzione del dente definitivo bisogna considerare la discrepanza dento-alveolare. Una diseguaglianza di spazio tra gli elementi dentari e l’osso atto a contenerli comporta l’arresto della permuta per la mancanza dello spazio necessario oppure se la vis eruttiva prende il sopravvento può verificarsi uno spiacevole sovraffollamento degli elementi dentari. In questa eventualità il dente può erompere nel palato oppure sovrapposto ad altri denti dal lato linguale o all’esterno, provocando disturbi anche a livello del labbro o della guancia.
Ulteriori cause da tenere presenti, per la loro gravità sono le cisti, le neoplasie e le ipertrofie gengivali; fortunatamente queste cause sono rare.
Il problema della mancata eruzione del dente e la conseguente malocclusione nei casi di tumore è di secondaria importanza rispetto alla patologia principale. Preminente in queste situazioni è riconoscere la presenza della formazione di origine ossea o dei tessuti deputati alla genesi del dente; tali tumori per lo più benigni sono in grado di dislocare i denti contigui, aumentando di dimensione senza dare altri sintomi.
Decorso analogo hanno le cisti follicolari o apicali; solo una loro eventuale infezione induce la comparsa di dolore, arrossamento, fuoriuscita di pus, febbre e difficoltà alla masticazione.
Anche limitando l’analisi alle cause menzionate senza pretendere di fornire un quadro completo, si comprende come la mancata eruzione di un dente in arcata comprenda un’ampia varietà di cause, da quelle di banale soluzione a quelle che celano patologie molto severe.
La mancata eruzione di un dente non deve essere sottovalutata, ma considerata con attenzione dallo specialista; il problema deve essere affrontato per quello che è in realtà, un segnale di un disordine nella dentizione, non solo un disagio estetico, ma un disturbo che va compreso in tutti i suoi aspetti.
Solo in seguito può essere intrapresa la terapia più opportuna; il mantenimento del dente deciduo in arcata, la sua estrazione, una eventuale terapia ortodontica con apparecchiature mobili o fisse.
Un sistematico e negligente rinvio, non supportato da adeguate considerazioni, può pregiudicare seriamente lo sviluppo della dentatura ed obbligare a successive terapie più impegnative e di più lunga durata.
A cura del Servizio di Odontoiatria del Centro di Medicina Polispecialistica 33 di Milano .